L'AVVOCATO DI FAMIGLIA
L’AVVOCATO DI FAMIGLIA E MINORI
L’avvocato di famiglia e minori deve garantire all’assistito una qualificata preparazione, costantemente aggiornata ed in linea con i continui mutamenti giurisprudenziali.
L’avvocato di famiglia e minori deve avere ben chiaro il principio, e trasmetterlo al proprio assistito sin dal primo incontro, che tali cause non sono come le altre; in esse, soprattutto nelle separazioni e nei divorzi, non c’è, e mai vi sarà, né un vincitore né un vinto: entrambi le parti, purtroppo, hanno già perso in partenza!
Tale principio fa sì che l’avvocato, su cui incombe il dovere di lealtà e probità, senta come ulteriore il dovere morale di tentare con ogni lecito mezzo una riappacificazione tra le parti e, in subordine, una bonaria definizione della controversia.
L’instaurazione di un giudizio in contraddittorio, pertanto, deve rappresentare l’ultima tortuosa e dispendiosa strada da percorrere per la tutela degli interessi del proprio assistito e, più in generale, di entrambe le parti.
“Causa che pende causa che rende”, si osava dire in passato, per intendere che l’instaurazione di una causa rende all’avvocato sicuramente un compenso, a differenza di una definizione bonaria della controversia che, spesso e senza alcuna giustificazione, “autorizza” l’assistito a ritenere di non dover riconoscere nulla all’avvocato, che magari ha favorito la conciliazione, non avendo dato impulso ad un giudizio.
Questo “modus operandi” non deve appartenere all’avvocato e, in modo particolare, all’avvocato di famiglia e minori, il quale deve tenere ben presente, e con esso l’assistito, che la riappacificazione delle parti deve essere perseguita in ogni modo.
L’avvocato di famiglia e minori non deve “sollecitare” l’instaurazione di un giudizio solo perché esso rappresenta, per l’assistito, erroneamente, la sola attività meritevole di compenso.
Deve, invece, costantemente aggiornarsi, seguire convegni mirati, investire in studi e mettere a disposizione dell’assistito le proprie competenze, al fine di tutelarne gli interessi nel modo più indolore, per l’aspetto psicologico, e meno dispendioso, per quello economico.
L’avvocato che richiede il giusto compenso, per la sola consulenza, guadagna meno ma sarà gratificato per aver reso all’assistito un nobile servizio, perché nobile è la professione forense!
Avv. Antonio Cardella
L’avvocato di famiglia e minori deve garantire all’assistito una qualificata preparazione, costantemente aggiornata ed in linea con i continui mutamenti giurisprudenziali.
L’avvocato di famiglia e minori deve avere ben chiaro il principio, e trasmetterlo al proprio assistito sin dal primo incontro, che tali cause non sono come le altre; in esse, soprattutto nelle separazioni e nei divorzi, non c’è, e mai vi sarà, né un vincitore né un vinto: entrambi le parti, purtroppo, hanno già perso in partenza!
Tale principio fa sì che l’avvocato, su cui incombe il dovere di lealtà e probità, senta come ulteriore il dovere morale di tentare con ogni lecito mezzo una riappacificazione tra le parti e, in subordine, una bonaria definizione della controversia.
L’instaurazione di un giudizio in contraddittorio, pertanto, deve rappresentare l’ultima tortuosa e dispendiosa strada da percorrere per la tutela degli interessi del proprio assistito e, più in generale, di entrambe le parti.
“Causa che pende causa che rende”, si osava dire in passato, per intendere che l’instaurazione di una causa rende all’avvocato sicuramente un compenso, a differenza di una definizione bonaria della controversia che, spesso e senza alcuna giustificazione, “autorizza” l’assistito a ritenere di non dover riconoscere nulla all’avvocato, che magari ha favorito la conciliazione, non avendo dato impulso ad un giudizio.
Questo “modus operandi” non deve appartenere all’avvocato e, in modo particolare, all’avvocato di famiglia e minori, il quale deve tenere ben presente, e con esso l’assistito, che la riappacificazione delle parti deve essere perseguita in ogni modo.
L’avvocato di famiglia e minori non deve “sollecitare” l’instaurazione di un giudizio solo perché esso rappresenta, per l’assistito, erroneamente, la sola attività meritevole di compenso.
Deve, invece, costantemente aggiornarsi, seguire convegni mirati, investire in studi e mettere a disposizione dell’assistito le proprie competenze, al fine di tutelarne gli interessi nel modo più indolore, per l’aspetto psicologico, e meno dispendioso, per quello economico.
L’avvocato che richiede il giusto compenso, per la sola consulenza, guadagna meno ma sarà gratificato per aver reso all’assistito un nobile servizio, perché nobile è la professione forense!
Avv. Antonio Cardella